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Tra Fenomenomenologia ed Estetica, «L'opera d'arte letteraria» di Roman Ingarden

 

 

Introduzione di Marco Tedeschini[*]


1. Appunti sul problema dell'intenzionalità

2. Un'estetica per l'ircocervo

3. La coperta troppo corta di Ingarden

Bibliografia

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Il 5 luglio 2012 nell’aula X del Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” si è svolta una giornata di studi dedicata a Das Literarische Kunstwerk di Roman Ingarden, la cui prima edizione tedesca risale al 1931 e di cui è stata recentemente curata una nuova edizione italiana dal titolo L’opera d’arte letteraria[1]. Allora si intendeva dare risonanza al volume, importante tanto per l’estetica quanto per la fenomenologia, e soprattutto discuterlo, cercando di comprenderne l’alto valore per il dibattito filosofico contemporaneo ed evidenziandone tuttavia anche gli eventuali limiti. Questa impostazione teneva conto del fatto che il 2 dicembre 2011, presso la Fondazione Campostrini di Verona, si era già svolta una giornata di studi dedicata alla recente traduzione, che aveva invece l’esplicito fine di offrire una presentazione analitica degli snodi decisivi dell’opera e di restituirne – illustrato in dettaglio – il complesso disegno[2]. Pertanto, anche in considerazione del valore del libro, si è scelto di non ripetere una giornata di presentazione complessiva de L’opera d’arte letteraria, bensì di organizzarne una volta, in primo luogo, alla discussione del significato teorico di quest’opera.
L’iniziativa del 5 luglio 2012 è stata promossa da Syzetesis – Associazione filosofica, che ospita il presente volume di atti, con il contributo di Sensibilia – Colloquium on Perception and Experience, ed è stata organizzata da chi scrive e da Lidia Gasperoni. Il titolo della giornata di studi, Linguaggio Estetica Fenomenologia. L’opera d’arte letteraria di Roman Ingarden, illustrava in maniera concisa gli assi portanti della teoria ingardeniana e, a un tempo, elencava le tre tematiche che nel corso della giornata sarebbero state affrontate e discusse nelle relative sessioni di lavoro. I saggi che seguono sono il frutto di queste discussioni e, ancor prima, della lettura critica e problematizzante de L’opera d’arte letteraria[3]. Sono altresì documento dell’interesse filosofico suscitato ancora oggi dal testo ingardeniano, interesse che viene in questi atti declinato sotto le rubriche di fenomenologia ed estetica. Di qui il titolo del presente volume, Tra fenomenologia ed estetica. L’opera d’arte letteraria di Roman Ingarden.
Titolo inevitabile se il Kunstwerk nasce – per stessa ammissione di Ingarden – con l’intento di presentare una confutazione fenomenologica dell’idealismo fenomenologico-trascendentale di Husserl, a tutto vantaggio di una prospettiva esplicitamente realista[4]; e se, per raggiungere questo scopo, Ingarden sceglie di affrontare, con gli strumenti messi a disposizione dalla fenomenologia, uno dei problemi classici dell’estetica: la definizione di che cosa è un’opera d’arte. L’opera d’arte letteraria è dunque l’esito di questo tentativo; ripercorriamone brevemente le linee principali. Roman Ingarden struttura il saggio in tre sezioni e quindici capitoli più un’appendice (aggiunta con la seconda edizione), definendo nella prima sezione l’argomento specifico in esame nel libro; dunque, nella seconda sezione, descrivendo in dettaglio la struttura dell’opera d’arte letteraria; per concludere, nella terza sezione, tirando le somme in merito al suo statuto ontico e a quella che egli chiama la ‘vita’ dell’opera letteraria (la sua concretizzazione nel corso sua lettura). L’ontologia che fa da sfondo a questo lavoro è di natura stratificata, ciò significa che

la struttura conforme all’essenza dell’opera letteraria sta a nostro avviso nel fatto che essa è una formazione costituita da più strati eterogenei. I singoli strati si distinguono tra di loro: 1) per il materiale caratteristico a ognuno di essi, dalle cui caratteristiche derivano alcune proprietà particolari di ciascuno strato; 2) per la funzione che ciascuno strato svolge, tanto rispetto agli altri strati quanto nell’intero edificio dell’opera. Nonostante la diversità del materiale dei singoli strati, l’opera letteraria non costituisce un insieme estrinseco di elementi giustapposti casualmente, ma un edificio organico, la cui unità si basa direttamente sulla qualità propria dei singoli strati. […] Anticipando il risultato finale della nostra trattazione diremo che essi sono: 1) lo strato dei suoni di parola e quello delle formazioni sonore di grado superiore, edificate sulle prime; 2) lo strato delle unità di significato di grado diverso; 3) lo strato dei molteplici aspetti schematizzati e dei continua e serie di aspetti; e infine 4) lo strato delle oggettività rappresentate e delle loro vicende.[5]


L’opera d’arte è dunque una realtà articolata dai quattro strati che la compongono e che ne fanno l’«edificio organico» che Ingarden vuole descrivere. Essi possiedono a loro volta un proprio statuto ontologico (e una propria eterogeneità rispetto agli altri di tipo sia materiale che funzionale) in virtù del quale possono anche essere incontrati separatamente. Tuttavia deve essere chiaro che, nel caso di un’opera letteraria, detti strati sono invece assolutamente necessari insieme: in una costruzione che procede dai suoni di parola alle unità di significato e, passando per gli aspetti schematizzati, porta alla costituzione delle oggettività rappresentate. Va osservato altresì che questa struttura stratificata basta alla costituzione di un’opera letteraria, ma non a distinguerla da un’opera d’arte letteraria. Perché vi sia opera d’arte è necessario che lo strato delle oggettività rappresentate esibisca «alcune qualità metafisiche»[6], cioè quelle essenze per cui «si rivela “un senso più profondo” della vita e in generale dell’essere»[7].
È nel descrivere siffatta struttura che Ingarden mette a punto le argomentazioni decisive, dalla sua prospettiva, per confutare l’idealismo trascendentale di Husserl. L’opera (d’arte) letteraria infatti è un oggetto puramente intenzionale, cioè quel genere di oggetto che solo è ammesso da Husserl per l’analisi fenomenologica; ora, il lavoro di Ingarden consiste esattamente nel mostrare l’irriducibilità degli oggetti reali agli oggetti puramente intenzionali. Le prove fenomenologiche che Ingarden offre si possono ridurre a tre: diversamente dagli oggetti reali che sono autonomi, la modalità ontologica dell’opera letteraria è l’eteronomia, in quanto trae la sua origine dalla coscienza (§§ 18 e 20); un oggetto puramente intenzionale (che poggi su strutture linguistiche) rappresenta sempre in modo inadeguato un oggetto reale (§§ 38 e 40-42)[8]; senza ammettere dei concetti ideali autonomi l’opera d’arte letteraria non sarebbe comprensibile in maniera sufficientemente condivisa e, pertanto, non potrebbe vantare un’identità intersoggettiva (§ 66)[9].
Se con questo impianto argomentativo Ingarden sia riuscito a confutare l’idealismo husserliano, a dissolvere i dubbi sulla possibilità di identificare e definire univocamente un’opera d’arte, distinguendola da una semplice opera letteraria, e a tenere testa agli sviluppi contemporanei del dibattito sul linguaggio e sulla definizione di opera d’arte, sono i tre interventi raccolti in volume a indagarlo con perizia scientifica e vigore filosofico. Gli Appunti sul problema dell’‘intenzionalità’ in Roman Ingarden ed Edmund Husserl, di Daniele De Santis, indagano la prima delle questioni appena sollevate, mostrando come Ingarden abbia di mira, sì, l’idealismo di Husserl, ma non riesca a farvi veramente breccia. Il punto che De Santis mette perfettamente in luce consiste nel fatto che Ingarden non si muove sullo stesso piano di Husserl e, laddove l’allievo vede all’opera la stratificazione dell’essere, il maestro riconosce il costituirsi stratificato di unità intenzionali di senso.
Michele Di Monte, con Un estetica per l’ircocervo. Roman Ingarden sulla soglia dei mondi di finzione, problematizza invece la seconda questione, riconoscendo la grande produttività della tesi ingardeniana e portandola ai suoi intrinseci limiti: una circolarità ineludibile – dovuta ai presupposti ontologici e fenomenologici di fondo della proposta di Ingarden – tra conoscenze pregresse e riconoscimento dell’opera d’arte che, in definitiva, renderebbe impossibile stabilire ex ante i criteri per la definizione di che cosa essa sia.
Infine, e siamo alla terza questione, La coperta troppo corta di Ingarden: (troppo problematiche) concretizzazioni e (troppo inesplicate) atmosfere dell’opera letteraria di Tonino Griffero mette alla prova l’ontologia dell’opera d’arte ingardeniano con gli strumenti – da Griffero stesso ormai abbandonati – dell’ermeneutica, per saggiare la forza dall’impalcatura concettuale messa in piedi da Ingarden e la sua tenuta alla luce degli sviluppi filosofici del secondo novecento.
Nello spirito del convegno, i presenti atti raccolgono saggi che nulla concedono a Ingarden, né esitano a prenderne le distanze. Le critiche mosse al Kunstwerk servono pertanto l’idea di un confronto radicale con il testo, volto innanzitutto a intrattenere con esso un dialogo esplicitamente filosofico. Questi saggi offriranno pertanto uno stimolante e quanto mai utile contributo all’attuale dibattito in fenomenologia ed estetica: attraverso Ingarden, al di là di Ingarden.

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Ringrazio infine, con Lidia Gasperoni e a nome dell’associazione filosofica Syzetesis, l’artista Romina Bassu, che ha concesso l’uso della sua opera per la copertina di questo volume d’atti, senza nulla domandare in cambio e, di più ancora, pensandola e realizzandola lei stessa.


[*]Dottore di Ricerca dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Scienze Storiche, filosofico-sociali, dei Beni Culturali e del Territorio marco.tedeschini@yahoo.it

[1]R. Ingarden, Das literarische Kunstwerk, mit einem Anhang von den Funktionen der Sprache im Theaterschauspiel, Niemeyer, Tübingen 19723 [1931] (ed. it. a c. di L. Gasperoni con la collaborazione di G. Di Salvatore e postfazione di D. Angelucci, L’opera d’arte letteraria, Edizioni Fondazione Centro Studi Campostrini, Verona 2011. Qui OAL). A differenza della prima traduzione, Fenomenologia dell’opera letteraria, trad. it. G. Brozich-Lipzer e S. Checconi, Silva, Milano 1968, che era parziale, questa restituisce interamente il testo e lo presenta in un lessico aggioranto al dibattito filosofico odierno.

[2]La giornata era stata intitolata Realtà letteraria e polifonia. Gli atti sono stati pubblicati nel vulume a cura di L. Gasperoni, La realtà della finzione. Per un’analisi de L’opera d’arte letteraria di Roman Ingarden, in «Fogli Campostrini», vol. 4/4. 2012. I saggi raccolti in questo volume sono tutti consultabili on-line, presso il sito web: http://fogli.centrostudicampostrini.it/files/numeri_in_pdf/vol4_2012_4/Fogli_Campostrini_vol_4_2012_4.pdf

[3]Dei contributi discussi il 5 luglio, quello di Giuseppe Di Salvatore, è poi apparsoo nella cornice già richiamata dei Fogli Campostrini. Vedasi G. Di Salvatore, La fonologia multi-espressiva di Roman Ingarden, in Gasperoni, cit., pp. 23-45.

[4]Cfr. la Prefazione, pp. 41-47, in particolare, pp. 42s.

[5]OAL, pp. 85s. Per un approfondimento sulla teoria fenomenologica degli strati che porti particolare attenzione su Roman Ingarden vedasi R. Poli, Levels, in «Axiomathes», 1-2, 1998, pp. 197-211.

[6]Ivi, p. 396.

[7]Ivi, p. 394.

[8]Su questo si veda anche il saggio di L. Gasperoni, Lo schema “quasi sempre vuoto” degli oggetti finzionali, in id., cit., pp. 77-86. Rispetto agli argomenti ingardeniani si veda poi la ricostruzione di P. Limido-Heulot, Roman Ingarden, Husserl, La controverse idéalisme-réalisme, Vrin, Paris 2001, in particolare pp. 67-79, in cui si sofferma sul raddoppiamento d’oggetto operato da Ingarden nonostante il divieto husserliano al § 90 del primo volume delle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica di distinguere oggetto puramente intenzionale (noema) e oggetto reale.

[9]È singolare che proprio a questa altezza Ingarden abbandoni esplicitamente il terreno della fenomenologia – «che si vieta ogni posizione ontologica al di fuori di quella della coscienza pura» – per quello della metafisica – «che non si preoccupa di ammettere l’esistenza anche di altre oggettività, quando ce ne siano ragioni motivate e quando non sia sufficiente la trattazione puramente fenomenologica». Cfr, OAL, pp. 471s.


 
 
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