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Gaspare Polizzi, Galileo in Leopardi

 

 

 

 

recensione di Marie Rebecchi

 

Gaspare Polizzi, docente a contratto di storia della scienza presso l’università di Firenze, è studioso di storia della filosofia contemporanea, con particolare riguardo al pensiero scientifico e all’epistemologia francese (H. Poincaré, G. Bachelard, P. Valéry e M. Serres). Dal 2001, anno della pubblicazione del volume Leopardi e la filosofia, Polizzi ha convogliato le sue ricerche nel campo delle scienze naturali del '700 e '800 sulla straordinaria estensione della conoscenza di Giacomo Leopardi intorno a queste discipline.

Già nel precedente Leopardi e le ragioni della verità, l’autore aveva compiuto un’ampia e dettagliata ricostruzione della formazione scientifica di Leopardi, concentrandosi sulla precoce erudizione del recanatese nei più disparati ambiti epistemologici, capace di abbracciare uno spettro di discipline che si estendeva pervasivamente dall’astronomia alla fisica, dalla chimica alla biologia. Polizzi provvede a scandagliare il pensiero di Leopardi per mettere in luce il ruolo fondativo svolto dalle scienze e dalla filosofia naturale nella formazione e negli scritti giovanili, dalle Dissertazioni filosofiche (1811-12) alla Storia dell’Astronomia (1813), al Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1814) per approdare, nella seconda parte del testo, al nucleo più profondo della riflessione leopardiana sulla natura e sulla ‘scienza negata’ espresso nello Zibaldone.

Nel volume in questione, il più recente Galileo in Leopardi, Polizzi si propone di raggiungere un duplice obiettivo, ponendosi già nella premessa l’interrogativo che si configura come propellente della sua ricerca: «quello relativo alla validità o meno di tale ricezione immediata, anche in considerazione degli scritti inediti in vita (primi fra tutti i pensieri dello Zibaldone) e in subordine quello della eventuale motivazione di una assenza o sottodeterminazione dell’opera di Galilei negli scritti leopardiani» (p. 5). L’autore, per rispondere adeguatamente alla questione, nel primo capitolo, indaga le fonti per la conoscenza leopardiana di Galilei attestate e desunte dalla loro presenza nella Biblioteca di Casa Leopardi. Nei capitoli successivi la ricerca delle occorrenze galileane all’interno del corpus leopardiano prende le mosse dagli scritti giovanili per estendersi all’intero arco della sua produzione, segnatamente alla Crestomazia della prosa e allo Zibaldone.

Nel passare in rassegna le possibili fonti che hanno indotto Leopardi alla conoscenza e allo studio di Galilei, Polizzi opera con estremo rigore filologico una tripartizione di queste opere: fonti di teologia naturale, manuali scientifici e astronomici, e opere di erudizione varia. Tra le opere appartenenti al primo gruppo di fonti e largamente consultate dal giovane studioso, figura Lo spettacolo della Natura di Pluche; in quest’opera è possibile rinvergare le ragioni dell’omissione o di un’adesione parziale da parte di Leopardi, in particolare in alcuni passi della Crestomazia, circa la vicenda conflittuale di Galilei con la Chiesa a fronte delle accuse ecclesiastiche riguardo alla sua adesione al sistema copernicano. Pluche, nel presentare la figura e le scoperte di Galilei nei Trattenimenti della sua teologia naturale, critica la messa in discussione della centralità dell’uomo nel disegno divino, l’idea della pluralità dei mondi abitati, ribadendo di considerare la concezione copernicana di Galilei solamente come una ‘mera ipotesi’. Questo genere di posizioni prese in considerazione dal giovane Giacomo, trovano riscontro nella radicale adesione del padre Monaldo alla Chiesa Romana che, trovandosi di fronte alla messa in discussione da parte di Galilei di una visione cosmologica tradizionalistica, non poteva che ergersi a paladino della Sacra Scrittura. Come sottolinea Polizzi, una delle questioni che avevano affascinato Leopardi nella Storia della Astronomia, come quella relativa all’ipotesi della pluralità dei mondi, viene dapprima considerata inutile e dannosa e, successivamente, riconosciuta come «la più famosa e la più insolubile di tutte le questioni» (p. 156). A questo proposito, mettendo a confronto la maggiore apertura di Giacomo nei confronti delle più rigide convinzioni paterne, l’autore non si premura di menzionare il contesto relativistico e possibilista in cui il giovane Giacomo pensa ad un’eventuale conciliazione tra alcune verità della fisica e la religione rivelata: mettendo infatti in discussione il valore universale delle verità religiose, Leopardi provvederà a formulare l’idea di un ‘infinito possibile’ e dell’infinito arbitrio della volontà divina come orizzonte ontologico della realtà fisica.

Uno dei meriti maggiori di Polizzi è quello di aver individuato con precisione e acutezza gli snodi teorici e stilistici dell’opera leopardiana in cui l’influenza di Galilei si rivela decisiva. L’autore, nel secondo capitolo, compie un esame meticoloso dei singoli passi della Crestomazia della Prosa in cui la figura di Galilei assume un rilievo interessante, riportando inoltre con estrema perizia i riferimenti alle opere stesse di Galilei da cui i brani leopardiani sono stati tratti. Uno dei passi più interessanti commentati da Polizzi riguarda la dissimulazione operata da Leopardi riguardo la citazione di un brano galileano, espressamente filocopernicano, concernente la sfericità e il moto della terra, tratto dalla Lettera a Gallanzoni del 1611: il passo «smentisce la lettura congetturale del copernicanesimo che ancora rimaneva la tesi ufficiale della Chiesa e che Leopardi aveva fatta propria nella Storia della Astronomia; non è escluso che proprio la sua intrinseca pericolosità teologica abbia convinto Leopardi per la sua cancellazione» (p. 95). Dunque, Leopardi trattando in questo passo della presunta perfezione sferica della terra omette deliberatamente qualsivoglia riferimento al copernicanesimo, evitando in tal modo di contrastare la posizione ufficiale della Chiesa.

Nei capitoli successivi Polizzi considera le occorrenze relative a Galilei presenti nell’Epistolario, nello Zibaldone e nelle Opere letterarie. Nei pensieri zibaldonici emerge ripetutamente la considerazione della grandezza letteraria di Galilei «tale nel Seicento quanto quella di Dante nel Trecento» (p. 132) e della purezza, precisione ed eleganza che riflette il suo stile.

In coda al volume sono poste due interessanti appendici: la prima ricostruisce la propensione cosmologica degli scritti di Calvino in cui è possibile identificare una linea di forza immaginaria che, tagliando dall’interno l’intera storia della letteratura italiana, vede in Ariosto-Galileo-Leopardi l’asse lirico ed espressivo in cui si riconoscono per la grandezza linguistica e la sublime rarefazione descrittiva i tre grandi poeti ‘lunari’. La seconda appendice è un’ampia e preziosa antologia galileana della Crestomazia della Prosa che, fedele alla prospettiva filologica adottata da Polizzi in questo testo, riproduce in diciotto passi tutti i brani scelti da Leopardi dalle opere galileiane.

 

Polizzi, Gaspare, Galileo in Leopardi, Le Lettere, Firenze 2007, pp. 217, € 22

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