«Principalmente, manca un sovrano». Sotto questa insegna – stringata e perentoria – si potrebbe agevolmente raccogliere il frutto del lavoro che Sabino Cassese, da diversi anni ormai, ha consacrato alla descrizione dei mutamenti – ingenti e profondi – che hanno investito il diritto e quello amministrativo in specie.
Cassese non ha bisogno di presentazioni: è uno dei massimi amministrativisti del nostro paese, insignito di onorificenze presso le maggiori Università del mondo, ha ricoperto incarichi politici e accademici di primo piano. Da qualche anno – con la complicità editoriale di Laterza – va proponendo sondaggi, ipotesi e studi dedicati al mutato ruolo dello Stato a fronte di quella incerta costellazione di novità che si è usi chiamare globalizzazione. I saggi di Cassese sono brevi, talora brevissimi, dettati dalla mutevolezza della realtà che cercano di descrivere, quadri di un’esposizione che non può che essere temporanea tanto vertiginoso è il tempo del cambiamento che la teoria si prova, con i suoi fallibili mezzi, a catturare.
Il volume che qui prendiamo in esame – Lo spazio giuridico globale – è il secondo di una trilogia, inaugurata da La crisi dello Stato moderno del 2002 e, nel momento in cui scriviamo, sigillata da Oltre lo Stato del 2006; si tratta, come negli altri casi, di una silloge di saggi d’occasione, frutto di lezioni, relazioni congressuali, lectiones magistrales. La pluralità delle sedi di provenienza non osta al riconoscimento degli elementi di unità che giustificano la collazione. Qui i saggi sono tredici e molteplici i temi coperti: si va dalla preminenza del diritto amministrativo comunitario su quello amministrativo nazionale alla regolamentazione europea in materia di telecomunicazioni, dalle novità introdotte nella disciplina alimentare europea alla storia e ai profili delle riforme amministrative, dal tentativo di definire la natura del potere pubblico dell’Unione Europea alla rassegna delle crisi e delle trasformazioni sopportate dal diritto amministrativo dal XIX secolo sino a oggi.
Ma torniamo alla frase con cui abbiamo aperto e cimentiamoci nel tentativo di farne una bussola capace di orientarci nella varietà di temi e nella messe di documentazione normativa ospitati dal volume. Il tentativo da cui muove Cassese è quello di offrire una definizione elastica dell’ordine giuridico globale, così da contemperare l’esigenza, lato sensu dogmatica, di congelare in un ordinamento la materia, viceversa, tanto incandescente e inafferrabile che la globalizzazione, come la più pervicace delle risacche, consegna alla spiaggia del diritto: il primato del mercato è, su tutti, l’elemento in grado di rimodellare maggiormente gli istituti giuridici e la stessa forma del diritto contemporaneo. Il quadro complessivo di una sempre più marcata interdipendenza vede lo Stato sovrano in ritirata, pronto a cedere parte consistente della sua dote di sovranità tanto verso l’alto delle organizzazioni sovra- e trans-nazionali (per limitarci a qualche esempio: Unione Europea oppure Organizzazione Mondiale del Commercio), quanto verso il basso di quelle substatali (si pensi, in questo caso, agli effetti che un’estesa applicazione del principio di sussidiarietà ha impresso al rapporto tra Stati e regioni). Caratteristiche salienti di questo novissimo ordinamento sono, da un lato, l’assenza di un’autorità sovrana, dall’altro, la mancanza di un centro determinato.
È per questa via che, in uno dei saggi più affascinanti del volume, Cassese si adopera a schizzare gli elementi per una comparazione tra gli ordinamenti premoderni, caratterizzati appunto da pluralità e orizzontalità, e gli ordinamenti compositi moderni – tra i quali spicca l’Unione Europea –, certamente distinti dai primi, eppure ricchi di analogie quanto alla razionalizzazione del potere e alla organizzazione di funzioni e uffici. La distinzione che aveva accampato, centralissima, per tutto il Medio Evo, tra ius commune e iura propria, si ripropone oggi, mutato quel che c’è da mutare, come una tipologia adatta alla descrizione del rapporto – singolarmente poroso – tra diritto comunitario e diritto nazionale.
Cassese indica con chiarezza le virtù della comparazione, da un lato, infatti, essa permette di dare conto di quanto e in quale misura novità e tradizione concorrano a dare corpo a un ordinamento composito come quello europeo, dall’altra, offre una via maestra a quella operazione – più che mai necessaria – di liberazione dal pregiudizio statocentrico che, troppo spesso, condiziona i giudizi su inediti passaggi giuridici, politici e istituzionali, costringendoli in anguste gabbie interpretative. Questo elemento merita di essere sottolineato, tanto più laddove la specialità giuridica che Cassese sottopone alla prova della comparazione e, quindi, all’urto delle novità indotte dalla globalizzazione, è proprio quel diritto amministrativo che, in virtù di una genealogia robusta e risalente, si vuole identificato nel “braccio armato” della sovranità.
L’attraversamento teorico di un ordine giuridico policentrico come quello globale imprime una curvatura tutta nuova allo spettro metaforologico che sostiene le retoriche del diritto. Non è più tempo di gerarchia delle fonti: la rete e tutta la vasta area semantica che essa è capace di mobilitare, suggerisce la disposizione orizzontale e non gerarchica dei nuovi produttori del diritto globale. Alla rete, Cassese dedica un breve saggio che brilla per la misura usata nell’accostarsi a un’immagine che, inflazionata, rischia di perdere molto del suo potere descrittivo e della sua forza espressiva. La stessa operazione è condotta da Cassese sul fronte – più che mai in ascesa – della regolazione e sulla natura, vieppiù transitiva, che vanno assumendo i sintagmi «regole del gioco» e «gioco delle regole», e su cui pure, di recente, è andata posandosi l’attenzione di Guido Rossi in un fortunato volume adelphiano.
Non mancano, però, elementi controversi. Primo fra tutti quello della legittimazione. Un ordinamento come quello globale, che si vuole tanto composito e plurale, tanto leggero e pervasivo, tanto oblativo nelle prestazioni e tanto liberatorio negli orizzonti che sembra dischiudere, risulta sì sganciato da molti dei profili più onerosi della sovranità, e nondimeno troppo distante da alcuni suoi ancoraggi legittimanti. L’ordinamento globale si scopre, infatti, in buona parte sottratto al principio democratico. Cassese, individuando nel diritto una forma alternativa di legittimazione e talora cedendo alla tentazione di identificare la democrazia con la sola liturgia elettorale, finisce col ridurre quest’ultima a un metodo decisionale disfunzionale e antieconomico. Tuttavia, appare difficile – anche volendo soprassedere sulla necessità di offrire della democrazia un’altra, e ben più ricca, silhouette – riconoscere nella Rule of Law un principio di legittimazione irresistibile e senz’altro alternativo a quello democratico. Il principio di legalità, infatti, fatica sempre più a cancellare le tracce di quello che sembra un suo determinante profilo, identificabile in quel così poco nobile Plunder, con cui Ugo Mattei e Laura Nader hanno voluto titolare un volume di prossima pubblicazione consacrato proprio alla Rule of Law e alla sua intima vocazione imperialista.
Certamente, però, questo vuoto di legittimazione indicato da Cassese lascia spazio all’immaginazione giuridico-politica e ben si presta a un’interpretazione sintomatica che legge nell’incertezza e nell’ambiguità le tracce di un processo tendenziale, ancora ben lontano dall’essersi assestato e quindi aperto a correzioni e invenzioni. Proprio quelle che la giurisprudenza e la scienza del diritto – tra le principali fonti dell’ordine giuridico globale – non mancano di produrre e proporre.
Il diritto amministrativo è, nel tempo della globalizzazione, la parte del diritto che maggiormente soffre il tramonto del registro statocentrico sui cui un giuridico colonizzato dal politico si era andato assestando. Nel 1923 Otto Mayer poteva scrivere: «Verfassungsrecht vergeht, Verwaltungsrecht besteht». In molti hanno creduto possibile tener per vera questa professione di fede. Il libro di Cassese avverte: è venuto il momento di rovesciarla. |