A cura di Francesco Saverio Trincia e Stefano Bancalari, docenti alla Facoltà di Filosofia dell’Università “la Sapienza” di Roma, il testo raccoglie gli atti del convegno Il problema del soggetto nella filosofia contemporanea, tenutosi nel febbraio 2005 a Roma, per iniziativa dello stesso Francesco Saverio Trincia (Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici della Facoltà di Filosofia dell’Università “la Sapienza” di Roma), Gianna Gigliotti e Aldo Brancacci (Dottorato in Filosofia della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata).
I dieci interventi affrontano, da punti di vista tutt’altro che affini, spesso radicalmente distanti, ‘la questione del soggetto’, assunta, pur nella sua attuale problematicità, come tema centrale della filosofia contemporanea, se non altro proprio perché punto di incrocio delle diverse prospettive filosofiche qui in campo. Che la sfida sia trovare un «ordine significativo», o per lo meno una «traccia unitaria», tra queste divergenze prospettiche, lo afferma del resto lo stesso Trincia nell’Introduzione al testo, constatando l’eterogeneità delle prese di posizione, e imputandola alla natura paradossale, ma al contempo di inesauribile fecondità filosofica, dell’oggetto d’indagine, il soggetto appunto. L’angolo oscuro della soggettività, è infatti il titolo del saggio conclusivo di Trincia, efficace citazione husserliana che rivela forse uno dei tratti che accomuna gran parte dei saggi: si può cioè individuare nell’approccio fenomenologico, e insieme nella presa di distanza da esso, uno sfondo teorico che taglia trasversalmente il testo, sia che si tratti, è il caso di Trincia, Rudolf Bernet e Jocelyn Benoist, di proposte che più direttamente prendono le mosse dalla fenomenologia husserliana, sia che ci si muova, nei saggi di Stefano Bancalari e Marco Maria Olivetti, all’interno o nelle vicinanze della filosofia levinasiana, sia che, infine, si operi un più o meno esplicito rifiuto della tradizionale soggettività fenomenologica, in Remo Bodei, Roberto Brigati, Carlo Scognamiglio e Giacomo Marramao.
In Intersoggettività e religione di Olivetti, saggio in cui si sostiene la tesi, di ispirazione levinasiana, affrontata però in modo originale, che «il soggetto o la persona sia prima dell’essere» (p. 21), e nello scritto di Bancalari, Phénoménologie e mythe de l’hypostase, incentrato sull’analisi della nozione di ‘ipostasi’ nel primo Levinas, si può individuare il comune tentativo di estrarre la soggettività fenomenologica da una dimensione “ristretta”, “solitaria” – quella della prima persona, del modo verbale indicativo (in Olivetti); quella dell’ipostasi, di fronte all’il y a impersonale (in Levinas) – dimensione in cui il soggetto sembra essere chiuso in una scena teatrale, della tragedia e del mito, e da cui, tanto Olivetti, quanto Bancalari, muovono rinvenendo la possibilità di un «intervallo», il primo, e l’eterogeneità irriducibile tra «realtà dell’ipostasi» e «realtà dell’esperienza» il secondo.
Nel saggio Autocoscienza affettiva di Bernet, se l’obiettivo è quello, a prima vista opposto, di difendere l’autonomia della coscienza, si ha a che fare però con l’esigenza analoga di evitare che la coscienza assuma la forma di «uno statico e rappresentazionale aver-coscienza di un oggetto» (p. 51). A tal fine l’autore affronta un’analisi delle forme dell’autocoscienza che si sottraggono, a suo avviso, alla struttura della coscienza intenzionale, cioè la sensazione cinestetica e il mutamento traumatico, che caratterizzano l’autocoscienza stessa come «affettiva», in una dimensione pre-intenzionale e pre-riflessiva. Si può allo stesso modo interpretare l’intervento di Benoist, Le funzioni del soggetto, che, sulla scorta dello studio di base linguistica di Vincent Descombes, tenta di far uscire il soggetto fenomenologico da una certa ‘staticità’: il soggetto può essere tale solo se pratico, attivo, soggetto d’azione – o di passione, come suggerisce in chiusura l’autore – e per ciò «contestualizzato», inserito nel reale, colto nel suo essere investito di realtà.
I saggi di Brigati, La place des pratiques dans un monde de données, e di Scognamiglio, Il problema del soggetto nell’ontologia critica di N. Hartmann, sono caratterizzati invece da un rifiuto esplicito del modello fenomenologico, giudicato per lo più sterile o inefficace, almeno nella sua formulazione tradizionale, o presunta tale: ciò vale in primo luogo con Brigati, che pone l’attenzione sulla funzione conoscitivo-teoretica del soggetto, la quale andrebbe “corretta” in senso pragmatico – di nuovo il tentativo, questa volta tutto extrafenomenologico, di ‘attivare’ un soggetto statico, di risvegliarlo; ma vale altresì con Scognamiglio, il quale, da una prospettiva interna all’ontologia di Nicolai Hartmann e attenta alla sua genesi storico-filosofica, constata come «la soggettività manifesti una vitalità ulteriore rispetto al solo rapporto conoscitivo» (p. 130), così da ribadire il peso ontologico del soggetto, in contrasto con il trascendentalismo soggettivistico di fenomenologia e idealismo.
Si distaccano forse più nettamente dagli altri, il saggio di Bodei, Gli avatars del soggetto, e quello di Marramao, Relazione, costituzione, narrazione, incentrati entrambi, seppur da diversi punti di vista, su una raffigurazione del soggetto come entità multipla, frammentaria. Quest’ultima trova, in Bodei, una continuità, pur nelle sue successive reincarnazioni, proprio attraverso la capacità di restare «orizzonte mobile», «metaforico» in senso letterale, così da sottrarsi all’alternativa obbligata tra cogito pre-riflessivo e auto-riflessione idealistica. Molteplicità interna al soggetto declinata invece in modo duplice da Marramao: non solo l’io non è omogeneo rispetto a se stesso, ma è anche aperto ad una dimensione comunitaria (torna qui significativamente, in senso però del tutto inverso, l’idea di una soggettività come «cavità teatrale» (p. 148), mossa cioè da imperativi e quadri normativi diversi e talvolta conflittuali).
Le riflessioni del saggio conclusivo di Trincia possono forse riassumere, sebbene derivanti dal tentativo di rinvenire, in senso propriamente fenomenologico, una dimensione trascendentale del soggetto, il percorso che, nei diversi interventi, delinea ancora la possibilità di una nozione unitaria, per quanto frammentata, di soggettività: «lacerazione, trauma e trascendentale coappartengono non al soggetto, ma al progresso avvolgente, complesso e interminabile che si compie intorno al suo fantasma» (p. 168); e «che la lacerazione mostri l’unità assente, e la renda in tal modo presente come non potrebbe avvenire se l’unità fosse già da sempre presente e garantita, non è una rappresentazione della soggettività, ma è la vita stessa della soggettività» (pag. 177). |