Questo volume miscellaneo, curato da Florence Malhomme e Anne Gabrièle Wersinger ed edito dalla casa editrice francese Vrin, ripercorre la riflessione che storicamente ha legato la musica all'etica, in un ampio periodo che va dall'antichità greca all'età moderna.
Ben diciassette saggi di celebri studiosi come Andrew Barker, autore dell'essenziale studio Greek Musical Writings (Cambridge University Press, 2004), e Daniel Delattre, noto in particolare per i suoi studi sul De Musica di Filodemo di Gadara, si susseguono quali atti del Convegno internazionale tenutosi all'università della Sorbonne nel dicembre del 2003.
Questo libro si propone di analizzare, in una prospettiva storica, il rapporto che intercorre tra la mousike, nel suo senso più ampio, ovvero quello costituito dall'insieme di ritmo, melodia, parola, e danza, e la filosofia morale. Questo accostamento può forse apparire strano ai nostri giorni, ma non bisogna dimenticare che nell'antichità il legame tra la mousike intesa nel suo ambito culturale e sociale, e la sua importanza come veicolo di trasmissione di una certa tradizione, favoriva al tempo stesso una riflessione di più ampio respiro sul valore educativo della musica e perciò sul suo risvolto morale. La musica costituiva infatti un centro di aggregazione nelle occasioni pubbliche e cultuali, nonché il mezzo privilegiato di espressione teatrale, luogo fondamentale nel percorso di formazione del carattere greco.
L'analisi di questo rapporto costituisce perciò, secondo i curatori, «une histoire de la sensibilité et de la manière dont l'émotion humaine s'est réfléchie et pensée elle-même» (p. 7).
Il legame tra le due discipline era dunque assai stretto nell'antichità, e questo libro ripercorre il cammino graduale della loro netta separazione, segnato dalla sempre maggiore specificità di ciascuna disciplina e al contempo dal crescente tecnicismo e virtuosismo dei suoi adepti. La nota fondamentale di questo libro è proprio l'accento posto sul momento del passaggio dall'éthos, termine che contraddistingue anche i generi musicali del sistema greco, all'etica, atto che viene reso possibile dal graduale abbandono del sistema dei modi musicali per il sistema tonale, quest'ultimo ancora alla base della musica moderna.
«Il s'agit d'examiner à partir de méthodes aussi spécifiques et distinctes que la philosophie, l'anthropologie, la poétique, la stylistique, la musicologie, la philologie et l'histoire, la façon dont la musique s'est ajustée à l'âme, afin d'y ancrer les valeurs de la civilisation occidentale» (p. 7) possiamo leggere nella Prefazione, che intende mostrare chiaramente anche il carattere multidisciplinare di quest'opera filosofica. A conferma di questa intenzione, possiamo citare ad esempio il primo saggio, La musique de l'excellence chez Homère, (pp. 17-38), di Sylvie Perceau, che parte dalle origini, ovvero dai poemi omerici, effettuando un'interessante analisi di carattere letterario in merito ai ritratti proposti da Omero di alcuni eroi-musici e degli strumenti che compaiono nei suoi canti.
Altri studi presentano invece spunti di carattere più tecnico-scientifico, come ad esempio quello di Evanghélos Moutsopoulos, che, in Beauté et moralité musicales, (pp. 39-44) suggerisce una rivalutazione della figura di Damone, generalmente poco conosciuta, mostrando il suo apporto alla teoria del continuum psicosomatico e all'interazione tra le strutture musicali e quelle del corpo.
Socrate, immagine dell'uomo che vuole apprendere la musica anche in tarda età e sembra credere in un'armonia interiore, Platone, che si attribuisce il ruolo di censore di alcune armonie, Aristosseno, impegnato nella ricerca della dunamis dei suoni, la scuola stoica e quella epicurea che polemizzano anche sul ruolo della musica nella società, sono poi le figure chiave attraverso cui i vari studiosi cercano di ricostruire i reali rapporti tra musica, etica e società nella filosofia antica. In ogni caso, seppur declinato in maniera diversa secondo le peculiarità di ciascuna filosofia, il legame profondo tra la musica e la sfera morale dell'uomo è innegabile in tutta l'antichità e poggia sulla convinzione che la musica sia parte integrante dell'educazione di ciascun cittadino, materia inderogabile nell'iter paideutico dell'uomo.
Dopo la parentesi del Medioevo – periodo su cui tuttavia questo libro non sembra insistere particolarmente – ritorna in auge l'idea di un'educazione completa e interdisciplinare. Al termine di un'epoca in cui la musica si declina come canto di lode al Creatore, acquistando essenzialmente un carattere religioso, fiorisce nuovamente, nell'umanesimo italiano e in particolare in quello fiorentino, una concezione della musica quale strumento educativo e culturale.
La riscoperta di testi come il De institutione oratoria di Quintiliano, ad opera di Poggio Bracciolini, e del De educandis liberis di Plutarco, tradotto da Guarino nel 1410, sembrano, seppur per un breve periodo, riconsegnare alla musica la dignità di disciplina atta a formare un uomo completo. Contro l'idea della specializzazione tecnica e del virtuosismo fine a se stesso, ritorna la sana idea di una ricerca della varietà e della simultaneità dell'apprendimento delle discipline.
«L'acquisition de l'ensemble des disciplines libérales, les studia humanitatis se conçoivent comme une ars vitae et se donnent pour finalité, d'une singulière élévation, la formation de l'humanitas de l'homme» (p. 184), scrive in proposito Florence Malhomme, nel suo saggio Musique, savoir et virtù (pp. 175-192). L'uomo sembra dunque caratterizzarsi, rispetto agli animali, per una prerogativa: il possesso del desiderio di apprendere.
Questo desiderio si manifesta, secondo gli umanisti, in tutti gli stadi della vita, dall'infanzia alla vecchiaia: «L'acquisition de la vertu est un travail perpétuel et jamais ne finit le temps d'apprendre. Socrate, apprenant la lyre dans sa vieillesse, est le topos de cette exigence éducative» (ibidem). Tornano dunque, come modelli esemplari, gli antichi, e in particolare Socrate, che non mostrava vergogna ad andare ancora a «scuola di musica», pur essendo vecchio, ma che, al contrario, intendeva coltivare la virtù per il bene dell'anima. |