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Michele Ciliberto (a cura di), Biblioteca laica. Il pensiero libero dell’Italia moderna

 

 

 

 

recensione di Paolo Ciuccatosti

 

Il saggio Biblioteca laica di Michele Ciliberto affronta un’analisi storica dettagliata e approfondita del pensiero laico nell’Italia moderna, evidenziando come nelle acute riflessioni di pensatori del calibro di Bruno, Machiavelli, Leopardi, Manzoni et alii si celino i capisaldi di quella cultura laica che tanto ha a cuore concetti decisivi come quelli di legge, conflitto, eguaglianza, libertà di stampa, opinione pubblica, fino all’argomentazione del rifiuto della tortura e della pena di morte.

Il testo si apre con una lunga introduzione di Ciliberto in cui si prende in esame il significato di ‘laicità’ in una vasta schiera di pensatori ed è poi seguito dall’inserimento di brani e piccoli saggi selezionati degli stessi autori. L’analisi di Ciliberto prende le mosse dalle riflessioni sulla condizione umana degli autori rinascimentali e si apre subito con una ben precisa dichiarazione d’intenti: con Machiavelli, Guicciardini, Pomponazzi e Leon Battista Alberti ci si interroga sulla condizione umana presentando delle analisi desolanti dell’uomo che contrastano con la vulgata offerta nei manuali di filosofia.

Che cos’è infatti l’uomo per questi autori? «Una pignatta fragile»(p. 11), esposta alle intemperie, «umbra di sogno» (p. 15), essere miserabile simile a una bestia, paragonato a un gatto e a un camaleonte da fra’ Paolo Sarpi e a una volpe e a un leone da Machiavelli. Quest’essere, sottolineano questi autori, si muove in un orizzonte dove è assente dal mondo tanto Dio quanto ogni criterio di giustizia: il giusto, sottolinea ancora Sarpi, non esiste per natura, ma per legge, essendo ciò che pare al più potente o uomo o popolo.

Anche Bruno e Pomponazzi sottolineano la natura ferina e bestiale dell’uomo, svolgendo un’analisi lucida e disincantata della condizione umana che si contrappone frontalmente a ogni posizione di carattere antropocentrico e tende a insistere sul limite strutturale dell’uomo. L’insensatezza del mondo è allora affidata a una fortuna bendata, sottolinea acutamente Ciliberto, la quale distribuisce i suoi doni senza distinguere tra uomini virtuosi e viziosi, mentre viene ribadita l’assenza degli dèi da un universo che solo a prezzo di grandi sforzi può essere rimesso in piedi, ristabilendo un rapporto naturale tra cose e parole. A questa tematica Ciliberto dedica una scelta accurata di saggi degli autori rinascimentali citati in cui possiamo vedere come le riflessioni sulla natura umana di Alberti, Pomponazzi e Machiavelli si associno ad analisi politiche e antropologiche raffinate.

La seconda parte del libro si apre invece con un capitolo dedicato alla nascita delle religioni, viste come fenomeni che hanno un loro corso e una ben precisa genealogia. Analizzando la religione da un punto di vista fenomenologico, Ciliberto cita ampiamente scritti di Vico, Sarpi, Machiavelli e Filangieri i quali ci fanno notare a più riprese come la religione si possa considerare uno strumento ideato da uomini potenti per assoggettare il popolo e avere un controllo su di esso. Dalle considerazioni machiavelliane sulla religione come fondamento dello Stato e vincolo costitutivo della società si passa alle analisi di Vico che vede la religione come una struttura ineliminabile della vita degli uomini, fino ad arrivare alle considerazioni amare di Filangieri, che considera il fenomeno religioso come un’impostura dettata dai sapienti al popolo ignorante. Il tono dei saggi è polemico e ironico, privo di elementi agiografici ma ricco di considerazioni di carattere morale ed etico.

Nella terza parte, Ciliberto si sofferma su un fenomeno spesso associato alla religione: i miracoli e la cura degli indemoniati. Questa volta le analisi sono affidate alle parole di Pomponazzi, Bruno e Vanini, i quali a vario titolo cercano di trovare delle cause naturali e assolutamente non mistiche ai miracoli e alle buone e cattive contrazioni. Dalle indagini di Vanini sui tarantolati alle acute osservazioni di Pomponazzi sui miracoli si può evidenziare come questi autori eludano gli aspetti mistici ed esoterici e si concentrino invece su osservazioni di carattere medico per spiegare ciò che la religione ascrive invece al fatto miracoloso.

La quarta sezione dell’opera è dedicata alla funzione civile della religione. In essa sono riprese e ampliate le indagini di Machiavelli, Sarpi, Vico, Giannone e Genovesi ed è incluso anche uno scritto di Mazzini. Questi autori si interrogano sulla funzione sociale della religione che è vista da alcuni, ad esempio Machiavelli, come un fondamento del vivere umano e da altri, quali Paolo Sarpi, come un elemento che interferisce con la corretta funzione dello Stato. Gli altri autori, primo fra tutti Pietro Giannone, si chiedono se sia possibile sostituire alla religione cattolica secolarizzata e imposta dalla Chiesa romana un’altra religione civile, quale quella politeista e tollerante degli antichi romani.

La religione, possiamo desumere dal pensiero di questi autori, è una struttura dell’agire politico e tuttavia è necessario che la religione e la politica siano disgiunte se si vuole salvaguardare il benessere morale dei cittadini. Sarpi propone perfino una società senza religione, la quale potrebbe risultare comunque virtuosa ed eccellente anche senza la speranza di premi futuri e senza la garanzia di un Dio misericordioso che li elargisce.

Di tutt’altro tono è invece lo scritto mazziniano tratto dal saggio I doveri dell’uomo. Mazzini ha una visione del mondo profondamente religiosa e per certi versi addirittura mistica e se da un lato rivendica l’autonomia della politica, svincolata dalle credenze interiori dei cittadini, dall’altro svalorizza la vita terrena e, conseguentemente, l’attività civile.

Nella quinta sezione Ciliberto affronta un tema più delicato: quello riguardante la critica della Chiesa di Roma e del Cristianesimo. Anche in questa parte dell’opera vi sono saggi di Machiavelli e Guicciardini a cui vengono affiancate estratti di opere di Lorenzo Valla, Giordano Bruno, Giacomo Leopardi e altri ancora. In questa parte dell’opera viene affrontato soprattutto il nodo spinoso del complicato rapporto tra autorità religiosa e potere temporale.

Nei numerosi scritti affiora una critica radicale degli abusi di potere operati dalla Chiesa romana nel corso degli anni mentre alcuni autori si domandano in che modo sia stato costruito il primato del vescovo di Roma. Interessanti sono le invettive scagliate da Giordano Bruno verso l’asinità cristiana e i pensieri leopardiani circa la contrarietà della religione cristiana alla natura umana. Soprattutto, tutti gli autori condannano l’estensione del potere spirituale della Chiesa a quello temporale e l’indebita commistione di autorità civile ed ecclesiastica attuata dai papi. Il tono degli scritti è decisamente polemico e intessuto di profonde considerazioni filosofiche e politiche. Anche in questo caso la perizia di Ciliberto sta nell’aver selezionato i brani più significativi evidenziandone i nuclei teorici e l’aspetto culturalmente dirompente.

Nella sesta sezione Ciliberto dà voce ai tre grandi perseguitati dalla Santa Inquisizione, Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Galileo Galilei, dei quali sono selezionati alcuni scritti riguardanti la libertas philosophandi. Dalle acute pagine di questi pensatori emergono brillanti considerazioni sull’uso indebito dell’auctoritas operata dalla Chiesa cattolica e un sincero e spassionato amore per la libera ricerca filosofica, non appesantita da inquadramenti dottrinari e indicazioni tratte dalle sacre scritture. Il contributo di questi pensatori allo sviluppo di una cultura laica e di una ricerca scientifica libera è stato notevole, così come la loro ferma intenzione di portare avanti le loro ricerche sfidando l’auctoritas ufficiale della Chiesa cattolica. Le conseguenze che ne sono derivate sono state gravi per tutti e tre: Galileo Galilei è stato costretto ad abiurare, Tommaso Campanella ha trascorso 27 anni in carcere e Giordano Bruno è stato bruciato sul rogo nel febbraio del 1600.

La settima parte di Biblioteca Laica è dedicata invece alla sapienza mondana e Ciliberto, tramite una selezione di scritti di Machiavelli, Filangieri, Bruno, Genovesi, Beccaria, Cattaneo e Manzoni, vuole sottolineare come la libertas philosophandi rappresenti uno dei nuclei originari della cultura moderna italiana. Essa si è espressa in una pluralità di campi con risultati assai fecondi, partendo dal Trecento fino ad arrivare ai secoli moderni. Nelle opere di questi autori vengono analizzati concetti importanti come quello di legge in Marsilio da Padova, di conflitto politico in Machiavelli, di critica dell’età dell’oro in Bruno e di libertà di stampa in Filangieri, per proseguire poi con la condanna della tortura e della pena di morte in Beccaria, le iniquità della giustizia in Manzoni e il conflitto tra principi come motore della storia in Carlo Cattaneo.

La mundana sapientia, fa notare Ciliberto, grazie a questi autori ci sgancia dalla visione del mondo fisico come libro scritto da Dio, rendendolo un ambiente naturale che può essere oggetto di conoscenza razionale e di raffinate analisi anche da parte di pensatori laici. E allora ecco citate le indagini degli autori sopra menzionati in quanto interessati a stabilire regole, trovare principi politici e civili ed effettuare elaborate disquisizioni sulla natura umana senza rimanere impastoiati negli angusti precetti religiosi della morale cattolico-cristiana.

L’opera di Ciliberto si conclude poi con un capitolo intitolato Né guelfi né ghibellini: libera Chiesa in libero Stato in cui vengono riportati due brevi scritti di Carlo Cattaneo e Camillo Benso di Cavour. In questi saggi viene affrontato il tema della libertà dello Stato e si ribadisce l’idea che la Chiesa cattolica abbia avuto un ruolo nell’indebolire e rallentare il processo di unificazione politica e statale della Nazione. Lo scontro tra Chiesa e Stato è quindi evidenziato come il conflitto tra due potenze storiche, entrambe volte a far valere i propri diritti con tutti i mezzi a loro disposizione.

Biblioteca laica si presenta insomma come una poderosa raccolta di scritti significativi, alcuni molto noti altri meno, volti a evidenziare quella cultura laica ma non sempre anticlericale nella quale si è raccolto quanto di meglio la nostra storia ha prodotto attraverso i secoli. In un periodo come il nostro, in cui la pregnanza dei temi della bioetica e della morale ha posto alla ribalta lo scontro ideologico tra cultura laica e pensiero cattolico, può risultare utile notare come certi temi siano già stati analizzati in passato da pensatori di un certo rilievo. Ed è forse significativo concludere la recensione del libro di Ciliberto con un celebre aforisma di Tommaso Campanella: «Chi proibisce ai cristiani lo studio della filosofia e delle scienze proibisce loro anche di essere cristiani» (p. 417).

 

Ciliberto, Michele (a cura di), Biblioteca laica. Il pensiero libero dell’Italia moderna, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. XII-595, € 28

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