Rivista online registrata
ISSN 1974-5044

Per contribuire: redazione@syzetesis.it
 
 
Si accettano articoli, saggi e recensioni in Italiano, Inglese, Francese, Tedesco e Spagnolo. Tutti i contributi (a eccezione delle recensioni) prima della pubblicazione vengono sottoposti in forma anonima ad almeno un referee

 

 

Robert B. Pippin, Hegel’s practical philosophy

 

 

 

 

 

recensione di Christian Belli

 

La domanda sul senso e la possibilità della libertà è la domanda fondamentale della filosofia moderna, e la filosofia hegeliana, che della tradizione moderna intende proporsi come ‘fine’, ossia come sua espressione più vera e completa, rappresenta il tentativo più articolato e sistematicamente complesso di dar conto della libertà dei moderni.

Secondo questo giudizio filosofico fondamentale R.B. Pippin, professore di filosofia presso l’Università di Chicago – uno degli attori principali dell’odierna corrente neo-hegeliana della filosofia americana – raccoglie e condensa in questa sua ampia e articolata monografia circa un ventennio di studi su Hegel, per i quali si è segnalato come uno dei massimi esperti contemporanei della filosofia pratica hegeliana, a partire dal suo ormai celebre Hegel’s Idealism. The Satisfactions of Self-Consciousness (1989). Seguendo la tradizione neo-hegeliana americana aperta da J. Sellars (Empiricism and Philosophy of Mind, 1956), Pippin espone il complesso della filosofia hegeliana a partire dal concetto di ‘spirito’, inteso come «lo spazio storico e sociale delle ragioni», seguendo il quale può essere colto lo specifico senso che Hegel assegna al concetto di libertà. Pippin mostra molto chiaramente, a iniziare dal secondo capitolo della sua opera, come per poter cogliere il significato di libertà in Hegel si debba uscire da una rigida contrapposizione tra ‘natura’ e ‘spirito’, e riferirsi alla struttura propria del concetto che si pone al di là di ogni sorta di distinzione ontologica. Riprendendo secondo un diverso ordine di considerazioni ciò che un altro importante filosofo statunitense, Robert B. Brandom, padre della cosiddetta scuola neo-hegeliana di Pittsburgh, esprime in merito allo statuto semantico del concetto hegeliano (R.B. Brandom, Making It Explicit, 1994), Pippin considera il concetto come una sorta di ‘norma’ e di conseguenza la libertà, la quale è descritta secondo la struttura del concetto (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, §382) come una reale ‘auto-nomia’; non più riferita, secondo il modo kantiano, alla possibilità di autodeterminazione del soggetto singolo, ma ricondotta all’interno di sedimentate pratiche sociali ‘realmente’ normative. Lo spirito, nella lettura che ne dà Pippin, non è altro che questa ‘realtà sociale’ della libertà e non descrive altro che quelle capacità e pratiche acquisite che gli uomini possono dire di aver prodotto nella storia e sulla cui base possono sentire di essere autorizzati a richiedere da ogni membro della società comportamenti e pratiche essenzialmente normativi. È da questa prospettiva essenzialmente sociale che, secondo Pippin, può essere colto il senso della libertà hegeliana, la quale non ha nulla a che vedere con la libertà di scelta. Quest’ultima infatti costituisce una forma affatto astratta di libertà e deve poter esser ricondotta in un contesto più ampio, concreto, in cui la ‘libertà del volere’ sia ricompresa nella ‘libertà dell’agire’. Lo spirito infatti, vero soggetto della libertà, è pensato come un’istituzione collettiva in cui gli uomini, rimanendo quegli organismi naturali che ontologicamente sono, si impegnano l’un l’altro alla sincerità e alla responsabilità della ragione, attraverso cui la libertà si realizza. Sono chiari gli echi kantiani e si può affermare che nel complesso Pippin interpreti la filosofia hegeliana come una radicalizzazione e concretizzazione del progetto dell’autonomia kantiana. Ora, sebbene la teoria hegeliana del concetto resti per Pippin una teoria del ‘dovere’ di matrice kantiana, l’autore espone nei capitoli 3 e 4 il punto di vista peculiare della filosofia hegeliana: la necessità della ‘realizzazione’ concetto, ossia della libertà concreta. Secondo il principio della ‘realtà del razionale’, che ha trovato nella hegeliana Filosofia del diritto il suo luogo classico, la libertà è da rintracciarsi nella qualità delle forme di legislazione collettiva attraverso cui gli uomini, nel concreto della loro vita comune, vicendevolmente si legano.

Nel quinto e nel sesto capitolo del libro, Pippin, con riferimento alla distinzione hegeliana tra Handlung e Tat, altro elemento centrale della Filosofia del diritto, mostra come la teoria hegeliana dell’azione si costruisca su quel nesso inscindibile di ‘libertà’ e ‘riconoscimento’ (Anerkennung) che sta al cuore della filosofia pratica hegeliana, costituendo un punto di vista del tutto peculiare anche all’interno del dibattito contemporaneo sull’argomento (Searle, Davidson, ecc.). Ciò che caratterizza un’azione in quanto tale è la possibilità di riferirla a una sorta di ‘regno interno’, senza il quale non saremmo in grado di identificare quella particolare classe di eventi che sono le azioni. Per Hegel tuttavia la relazione tra stato ‘interno’ e azione ‘esterna’ non può essere in alcun modo descritta da nessun tipo di relazione causale. Al di là della distinzione tra ‘compatibilisti’ (coloro che ammettono l’esistenza di un nesso causale tra intenzione e azione) e ‘incompatibilisti’ (coloro che non ammettono che credenze e desideri possano causare, in senso stretto, azioni) – a cui pure l’autore cerca di riferire la stessa prospettiva hegeliana, palesando tuttavia l’impossibilità di inserirla in simili rigide classificazioni – Pippin mostra come in Hegel la questione assuma fin da subito una direzione diversa, più comprensiva. Il fatto è che in Hegel, proprio il rapporto con se stessi, che come detto qualifica l’azione in quanto tale, non può prescindere dalle relazioni sociali, e sono queste ultime che da ultimo conferiscono all’‘agente’ il suo peculiare statuto. Su questo punto Pippin misura la differenza decisiva dell’idea hegeliana di libertà da quella di Kant. Per Hegel, infatti, la libertà non può essere sufficientemente compresa a partire dalla possibile determinazione della volontà da parte della ragione pura pratica, ma deve essere riferita alla capacità di deliberazione dell’individuo non semplicemente come soggetto razionale, bensì come soggetto etico (sittliches Wesen), vale a dire, come soggetto che non agisce se non in riferimento a delle norme sociali. Si capisce dunque come nella prospettiva della filosofia pratica hegeliana, cosa che Pippin sottolinea a più riprese, si indebolisca inesorabilmente il momento della deliberazione o del potere causale dell’agente per far spazio al recupero del senso dell’azione in quanto ‘propria’, secondo il modello rousseauiano di libertà. Pippin ricorda come nella Filosofia del diritto, così come già nella Fenomenologia dello spirito, la possibilità dell’azione libera non risieda nella possibilità di riferirsi a una causalità originaria, e che lo stesso contenuto soggettivo dell’intenzione non possa essere determinato se non in riferimento a ciò che costituisce la realtà sociale.

Nel settimo capitolo Pippin approfondisce il concetto fondamentale di ‘riconoscimento’, che costituisce in ultima analisi la risposta hegeliana circa la natura e la possibilità della libertà. Prendendo le distanze da un’altra influente interpretazione contemporanea del ‘riconoscimento’ in Hegel, quella di Axel Honneth, Pippin non pensa che l’essere ‘stimato’ e ‘rispettato’ in società sia una condizione effettiva dell’esser libero, né che in definitiva quella del riconoscimento sia una ‘teoria genetica’ delle istituzioni di giustizia sociale. Per Pippin, infatti, «è vero che sulla scorta della teoria hegeliana si può dire che una certa forma di relazione sociale (riconoscere ed essere riconosciuti) sia una condizione per la possibilità della vera individualità, ma qui si tratta dell’individualità vera o concreta (Einzelheit) e questo tema in Hegel non deve essere confuso con le questioni del conoscere se stessi, dell’unicità esistenziale, dell’identità personale, della salute psicologica ecc.» (p. 185). Per Pippin la teoria del riconoscimento costituisce la chiave d’accesso a una corretta comprensione della libertà in Hegel, in quanto essa, lungi dal rappresentare una sorta di capacità o proprietà causale, è il raggiungimento ‘collettivo’ di uno stato in cui i membri della società sono in grado di indirizzare i propri comportamenti non più sulla base di disposizioni naturali, bensì sulla base di norme.

Nel capitolo ottavo Pippin mostra come sulla base della stessa teoria del riconoscimento, Hegel ripensi radicalmente la nozione stessa di soggetto o individuo. «Quello dell’agente è uno status sociale, e uno status sociale esiste per mezzo dei membri di tale comunità […] Il prete, il cavaliere, lo statista, il cittadino non sono dei tipi naturali. Ognuno esiste come tipo nell’esser trattato come tale, in accordo con le regole della comunità, reciprocamente valide per tutti. E la radicalità dell’idea hegeliana è che noi trattiamo un concreto soggetto vivente, un essere libero, nello stesso modo. In questo senso l’essere un individuo comprende un complesso stato di riconoscimento» (p. 221).

La libertà in Hegel si definisce dunque come una ‘forma dell’azione razionale’ e la piena realizzazione di tale dimensione umana richiede una partecipazione a certe ‘istituzioni’ moderne. Differenziandosi ancora da Honneth, nel corso del nono capitolo, in cui viene affrontato lo spinoso problema del rapporto tra libertà e ‘istituzioni’, Pippin pensa che la razionalità ‘oggettiva’ non possa essere interpretata come una sorta di razionalità ‘soggettiva’ indiretta, come se la razionalità consistesse nel sistema delle condizioni oggettive, necessarie per la realizzazione della libertà individuale. Pensare l’individuo al di fuori della complessa rete di obblighi e ruoli sociali significa per Hegel ‘pensare astrattamente’. Gli uomini, nella prospettiva hegeliana, sono sempre determinati storicamente e socialmente e solo in questo “senso aperto” di soggettività possiamo essere in grado di cogliere il significato autentico di ‘razionalità pratica’ o di ‘azione libera’. Nella lettura che Pippin ci offre della filosofia hegeliana, la razionalità pratica ci si presenta come la capacità di ‘giustificare’, cioè di assumere responsabilmente un’azione come propria, e una tale giustificazione, l’aver ragioni per, risulta essere possibile solo nella partecipazione a determinate pratiche sociali.

La teoria hegeliana della libertà è presentata in ultima istanza da Pippin come una teoria dell’azione razionale, vale a dire, una teoria che fa risalire la possibilità di una vita autentica da parte dell’uomo alla capacità di porsi come soggetto ‘auto-nomo’, in grado di darsi delle norme e chiedere e dare ragioni in base a esse. In questa linea concettuale che può esser fatta risalire a Kant e a Fichte, Pippin nota la peculiarità hegeliana nel decisivo spostamento verso le condizioni sociali storiche su cui si fonda la possibilità della razionalità dell’azione. Ora, dal nostro punto di vista, manca in Pippin proprio uno sguardo più attento alle condizioni ‘reali’ della possibilità dell’azione razionale all’interno della società contemporanea. Tuttavia, il progetto filosofico del pensatore statunitense, attraverso un ritorno a Hegel, a nostro avviso poco ideologico e molto fedele alla lettera hegeliana, risulta quanto mai apprezzabile, in un panorama filosofico contemporaneo che fa dell’assolutezza della contingenza la via principale di interpretazione del reale. Esso dà voce e concretezza filosofica a chi pensa che la possibilità di una vita autentica risieda nella unità libera della vita comune degli uomini «e pensando che questo sia un risultato della modernità e non una distorta fantasia, si troverà ricondotto ad Hegel e alla questione della continuazione del suo progetto» (p. 280).

 

Pippin, Robert B., Hegel’s practical philosophy, Cambridge University Press, New York 2008, pp. 308, £18.99

Sito dell'editore

 
Biblioteca virtuale: i libri sono custoditi dai rispettivi recensori ma restano a disposizione degli associati che ne facciano richiesta.

Ringraziamenti
Si ringraziano tutte le case editrici che hanno cortesemente messo a disposizione i volumi affinché potessero essere recensiti.
 
Avvertenza
I testi qui pubblicati possono essere riprodotti liberamente, per intero o in parte, purché senza alcun fine di lucro, senza alcuna alterazione e avendo inoltre cura di citare sempre la fonte e gli autori.
Ogni altro diritto sui testi qui pubblicati resta di proprietà dei rispettivi autori.
 
Mailing list