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Oliver Bloch (a cura di), Philosopher en France sous l'Occupation

 

 

 

 

recensione di Giorgia Castagnoli

 

Questo volume miscellaneo curato da Olivier Bloch raccoglie i contributi presentati nel corso di alcuni seminari, svoltisi tra il 2000 e il 2002 all'università Sorbonne (Paris I), sulla filosofia in Francia negli anni dell'occupazione nazista. L'obiettivo che guida i vari interventi è quello di delineare, seppure senza alcuna pretesa d'esaustività, la condizione dei filosofi, e dunque della filosofia, in un periodo caratterizzato dall'oppressione fisica e psichica del popolo francese da parte dei tedeschi.

Qual'è la condizione di un “libero pensatore” quando viene privato della libertà di esprimersi? Come può concretizzarsi la sua resistenza nei confronti dell'oppressore? Che cosa significa “resistere” in termini filosofici? Quali influenze ha avuto sull'educazione umanistica il contatto con i tedeschi e l'ideologia nazista? Queste sono sono alcune delle questioni sollevate dal presente volume.

Un dato singolare, sottolineato da Manlio Iofrida nel suo saggio Deux générations de philosophes français face à la guerre (pp. 11-20), è che l'occupazione non ha dato esito ad un rifiuto totale e categorico della filosofia tedesca da parte dei filosofi francesi, ma al contrario ha dato un nuovo impulso allo studio critico dei grandi filosofi tedeschi come Marx, Husserl e Heidegger e al contempo ha contribuito a una certa assimilazione di temi, come quello della vita e dell'esistenza, che hanno rinnovato la tradizione francese grazie al confronto con quella tedesca.

Un'altra carattistica peculiare della filosofia nata dalle generazioni che hanno vissuto durante la Seconda Guerra Mondiale è l'assenza di fiducia nel progresso storico. In quest'epoca, non si crede più nella capacità umane di poter evolvere e migliorare e nemmeno nella capacità di poter fornire le ragioni razionali dei comportamenti umani. La mancanza di rispetto verso i valori essenziali su cui si basa una società ha infatti creato negli animi un senso di disorientamento e di relativismo estremo. Al centro di questo sentire filosofico si prospettano perciò temi quali il tragico, il non-senso, il nulla. È nel segno del rifiuto, soprattutto dello  storicismo e del processo graduale, che nasce una nuova filosofia che si oppone a ogni tipo di conciliazione nonchè, in alcuni casi, di azione politica. Rifiutare il capitalismo e allo stesso tempo rifiutare il comunismo sono i sintomi di un malessere politico che deriva dalla perdita di fiducia nelle istituzioni in generale. Un'attitudine del genere conduce inoltre all'isolamento e al totale distacco dalla partecipazione attiva alla vita sociale e politica.

Un tema importante sia nella filosofia che nella vita quotidiana degli intellettuali francesi sotto l'occupazione è quello dell'eroismo. Analizzato dall'intervento di Frédéric Worms Le Héros et le philosophe (pp. 21-31), il rapporto tra il filosofo e l'eroe si carica di un significato particolare. « Jamais sans doute la question de l'héroïsme ne fut plus brûlante pour la philosophie que pendant la Seconde Guerre Mondiale en France, et cela pour deux sortes de raison: pour des raison historiques, tenant à l' « engagement » – ou pas – des philosophes dans l'action, mais aussi – sans que l'on puisse entièrement les séparer – pour des raison philosophiques, qui font même de ce problème, celui du héros, l'un des révélateurs privilégiés de ce moment philosophique central du siècle, dans toute sa diversité » (p. 21). Anche se il filosofo può sentirsi indegno di fronte all'eroe, che agisce in silenzio per difendere un'ideale, un rapporto di interdipendenza si viene in qualche modo a creare tra i due, in quanto l'atto eroico per risultare veramente tale, dev'essere narrato e illustrato all'interno di un universo morale, e questo è il compito del filosofo, che lo incorona dando alla sua azione un significato metafisico.

Per comprendere meglio la situazione generale della filosofia nel periodo compreso tra le due Guerre Mondiali, Bruno Poucet, professore di storia dell'educazione, ha analizzato i manuali di filosofia che venivano usati nelle scuole secondarie pubbliche e private e i rapporti di ispezione fatti dai funzionari della pubblica amministrazione (cfr. i saggi Enseigner la philosophie dans l'enseignement secondaire public sous l'Occupation, pp. 33-46, e Enseigner la philosophie dans l'enseignement secondaire privé sous l'Occupation au travers des manuels, pp. 47-57). Dalle sue ricerche risulta che l'insegnamento della filosofia si caratterizzava per il suo essere elitario e per avere un programma assai stabile, basato su delle unità tematiche piuttosto che sulla storia della filosofia. « Libéralisme des méthodes pédagogiques, élitisme, formations des esprits républicains, philosophie du juste milieu, à base de néokantisme, refus de l'abstraction et pensée du monde concret » (p. 34): queste le linee guida delle cattedre di filosofia. La sola novità veramente rilevante è l'integrazione dell'insegnamento secondario delle ragazze a quello dei ragazzi: dal 1924 anche le donne cominciano a ricevere un'istruzione di tipo filosofico. Nel 1941 una nuova riforma, chiamata réforme Carcopino, dal nome di uno dei ministri di Vichy, rinforza il peso della filosofia morale nell'ambito dell'insegnamento della filosofia tout court: essa vuole diventare una disciplina che prepara alla vita, e che introduce agli studenti i grandi problemi dell'uomo, di natura morale, come la responsabilità e il libero arbitrio, cercando di comunicare i valori di un umanismo di tipo classico. L'insegnamento della filosofia sembra tuttavia non subire profondi cambiamenti, né grandi pressioni di tipo politico o ideologico legati al clima di tensione che si respirava nella vita di tutti i giorni. Come spiega Poucet, durante la guerra, « la vie a continué, souvent dans d'immenses difficultés matérielles, dans la crainte d'un bombardement ou d'une rafle, mais la vie a continué. L'enseignement de la philosophie n'est pas devenu un instrument de propagande au service du régime. A de rares exceptions près, l'humanisme traditionnel est resté enseigné » (p. 43).

Dal punto di vista invece dell'insegnamento universitario della filosofia, colpisce l'attrazione di molti filosofi francesi per Heidegger, proprio durante l'occupazione nazista. « Paradoxalement, c'est pendant l'occupation que certain philosophes français ou francophones (par exemple Alexandre Koyré, Alphonse de Waelhens, Jean Wahl, Jean-Paul Sartre e Jean Beaufret) s'intéressèrent à un représentant décidé des agresseurs pour y chercher des idées humanistes » (p. 152), scrive Günther Mensching nel saggio intitolato Heidegger, le Nazisme et la philosophie française (pp. 151-164). Come spiegare questo paradosso? Secondo l'autore, dopo l'onda dell'esistenzialismo, del marxismo e dello strutturalismo, nonchè di un certo antiumanismo di stampo nietzschiano, gli intellettuali hanno provato come un sentimento di impotenza davanti ai postulati tradizionali della morale kantiana e post-kantiana, visto che il cosiddetto “progresso dell'umanità” sembrava portare solo al perfezionamento tecnico dei campi della morte nazisti o staliniani. Da qui, l'approccio heideggeriano volto alla distruzione della metafisica ha affascinato molti filosofi, che sono stati influenzati dalla sua filosofia e sono arrivati a dei risultati come l'idea della morte del soggetto, proclamata da Michel Foucault, e la decostruzione della metafisica, insegnata da Jascques Derrida.

L'interesse di questo libro è quello di fornire, attraverso dei saggi eterogenei, una serie di chiavi di lettura del periodo in questione perchè il lettore riesca a formarsi un'idea globale del clima culturale e filosofico della Francia occupata dai nazisti. Gli interventi sono assai tecnici pur rimanendo sintetici e rispondono a diversi tipi di metodologia per approcciare la questione: vi sono infatti dei saggi che si concentrano su un tema specifico, come fa Jean-Godefroy Bidima nel suo intervento Altérité et liberté: aspects du problème colonial chez les philosophes français entre 1940 et 1944 (pp. 59-80), oppure solo su un autore, come nel caso di L'engagement résistant de Jean Cavaillès di Fabienne Federini (pp. 207-222); su una singola opera, come per Le Mythe de Sisyphe d'Albert Camus di Hélène Politis (pp. 223-242), o su una serie di documenti diversi, tratti dagli archivi dell'amministrazione francese o dall'analisi dei volumi di una rivista, come nel saggio Le « cas » Esprit. La culture catholique en France, di Santo Alessandro Arcoleo (pp. 165-174). Si tratta perciò di un volume interessante perchè apre la strada allo studio di un periodo filosofico sulla base delle sue interazioni con le vicende storiche e politiche del secolo scorso.

 

Bloch, Olivier (a cura di), Philosopher en France sous l'Occupation, Publications de la Sorbonne, Parigi 2009, pp. 254, € 22

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